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Amniocentesi

Amniocentesi

L’amniocentesi è la tecnica di diagnosi prenatale invasiva più diffusamente utilizzata.

Il suo primo impiego risale al 1881 quando Lambl la utilizzò per il trattamento decompressivo del polidramnios. In seguito la procedura è andata diffondendosi solo verso gli anni ‘50 – ’60.

Inizialmente, il suo impiego era limitato al trattamento delle gravidanze complicate da isommunizzazione e solo alla fine degli anni ‘60 è stata utilizzata per la diagnosi genetica prenatale. Nel 1966 Carlo Valenti ha riportato la prima diagnosi prenatale di sindrome di Down da liquido amniotico.

Sin dalla sua introduzione alla fine degli anni ‘60, la tecnica ha subito sostanziali miglioramenti al fine di minimizzare le complicanze e ottimizzare il prelievo di liquido amniotico.

L’introduzione degli ultrasuoni alla fine degli anni ‘70 ha determinato un’importante evoluzione della tecnica consentendo di individuare il sito ottimale di inserzione dell’ago prima di effettuare l’amniocentesi (prelievo “ecoguidato”).

E’ stato adottato successivamente il prelievo “ecomonitorato” per consentire la visualizzazione costante del feto, della placenta e guidare l’inserimento dell’ago nel sito e alla profondità desiderati.

Con l’avvento del monitoraggio ecografico continuo, la sicurezza e il successo della procedura sono stati significativamente migliorati.

In relazione all’impiego ed ai tempi di esecuzione dell’esame si distinguono:

  • Amniocentesi precoce o precocissima (early amniocentesis) eseguita tra la 10^ e la 20^ settimana;
  • Amniocentesi del II trimestre (midtrimester amniocentesis) eseguita tra la 15^ e la 20^ settimana;
  • Amniocentesi tardiva (late amniocentesis) eseguita oltre la 24^ settimana.

La scelta dell’epoca di esecuzione è strettamente correlata alle indicazioni.

Indicazioni

L’amniocentesi genetica convenzionale viene eseguita tra la 15^ e la 20^ settimana di gestazione.

Le indicazioni all’esame rientrano fondamentalmente in due categorie:

a) in presenza di un rischio procreativo prevedibile a priori, quali età materna avanzata, genitore portatore eterozigote di anomalie cromosomiche strutturali, genitori portatori di mutazioni genetiche;

b) presenza di un rischio fetale evidenziato nel corso della gravidanza: malformazioni fetali rilevate all’esame ecografico, malattie infettive insorte durante la gravidanza, positività dei test ecografici o biochimici per patologie cromosomiche.

In dettaglio, le indicazioni per le indagini citogenetiche per anomalie cromosomiche fetali sono:

1. Età materna avanzata, > 35 anni;

2. Genitori con precedente figlio affetto da patologia cromosomica;

3. Genitore portatore di riarrangiamento cromosomico strutturale non associato ad aspetto fenotipico;

4. Genitore con aneuploidie dei cromosomi sessuali compatibili con la fertilità;

5. Anomalie malformative fetali evidenziate con l’ecografia;

6. Probabilità di 1/250 o maggiore che il feto sia affetto da sindrome di Down (o da altre aneuploidie) sulla base di parametri ecografici o biochimici valutati su sangue materno, effettuati con specifici programmi regionali in Centri individuati dalle singole Regioni e sottoposti a verifica continua della qualità (Decreto Ministeriale-Ministero della Sanità – 10 settembre 1998, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, 20 ottobre 1998, n. 245).

Ulteriori indicazioni sono rappresentate dal riscontro di infezioni fetali e la determinazione della concentrazione dell’alfa-fetoproteina amniotica nei casi di difetti del tubo neurale o di altri metaboliti fetali, benchè l’esame ultrasonografico abbia una sensibilità molto elevata.

La valutazione della maturità polmonare, la determinazione della bilirubina fetale nella isoimmunizzazione materno-fetale, l’evacuazione decompressiva del polidramnios di grado elevato e da ultimo lo stadio dei fattori di rischio infettivo del parto pretermine costituiscono indicazioni all’esame del terzo trimestre.

Ogni tecnica invasiva è gravata da un rischio di perdite fetali che è correlato all’esperienza dell’operatore, alla tecnica utilizzata, all’entità del prelievo e all’indicazione, all’epoca gestazionale e all’età della donna, un accurato counseling che tratti correttamente i vari aspetti inerenti la procedura.

Aspetti tecnici della procedura

Il prelievo di liquido amniotico viene effettuato per via transaddominale tramite l’inserimento di un ago in cavità amniotica.

Immediatamente prima dell’esecuzione della procedura deve essere eseguito sistematicamente un controllo ecografico per confermare la vitalità, valutare il numero e la posizione fetale, escludere una gravidanza multipla, rilevarne la biometria, confermare l’età gestazionale, infine valutare il volume del liquido amniotico e la localizzazione della placenta.

Con la tecnica guidata ecograficamente, l’utilizzo degli ultrasuoni era limitato a selezionare il sito dove inserire l’ago prima dell’esecuzione dell’amniocentesi; successivamente l’ago veniva inserito alla cieca in cavità amniotica.

Con l’introduzione della tecnica monitorata ecograficamente, l’utilizzo continuo degli ultrasuoni durante la procedura, consente la visualizzazione costante del movimento dell’ago e del feto. Tale tecnica si associa alla riduzione della frequenza di sanguinamento e di mancata aspirazione di liquido amniotico (dry tap) nonché di inserzioni multiple dell’ago, in confronto alla tecnica ecoguidata. Inoltre consente all’operatore di ovviare ad eventuali difficoltà durante la procedura, legate al fenomeno del “membrane tenting” (separazione della membrana corioamniotica dalla parete anteriore dell’utero durante l’inserzione dell’ago) o a contratture uterine.

Dopo la valutazione ecografica si procede alla disinfezione della cute e all’allestimento del campo.

L’inserimento dell’ago viene effettuato sotto visione ecografica e il sito viene selezionato cercando di evitare la placenta.

E’ stato rilevato che l’attraversamento della placenta durante l’amniocentesi comportava un aumento del rischio aborto.

Nel corso di uno studio randomizzato, il prelievo transplacentare è risultato più frequente (31,2%) nei casi esitati in aborto rispetto a quelli con esito favorevole (14,9%; p<0,05).

Altri studi attestano che la via transplacentare non si associa ad un aumento dei rischi.

La localizzazione anteriore della placenta non controindica la procedura, ma qualora si renda necessaria la puntura transplacentare per accedere ad un’idonea tasca di liquido amniotico, è importante tenersi lontano dall’inserzione del cordone ombelicale.

Una volta prescelto il sito di inserzione, sotto visione ecografica diretta, un ago spinale di 22-gauge viene inserito a mano libera lungo il lato del trasduttore, e la punta dell’ago che appare come un eco brillante, viene monitorata costantemente durante l’intera durata della procedura.

Attraverso la connessione di una siringa all’ago, si procede all’aspirazione del fluido amniotico, provvedendo alla eliminazione iniziale di una piccola quantità di liquido (0,5 cc), allo scopo di ridurre la probabilità di contaminazione del fluido con cellule materne.

Un metodo alternativo per eseguire la procedura sotto guida ecografica continua consiste nell’introdurre l’ago obliquamente a distanza dal trasduttore, consentendo la visualizzazione dell’ago per l’intera lunghezza.

Dopo l’aspirazione del liquido amniotico e la rimozione dell’ago, si documenta ecograficamente l’attività cardiaca fetale al termine della procedura.

Complicanze legate alla procedura

Le complicanze conseguenti al prelievo possono manifestarsi immediatamente o nelle settimane successive.

Le complicanze immediate sono strettamente correlate alla tecnica di prelievo e si inquadrano nell’ambito del cosiddetto prelievo difficile, come la mancata aspirazione di liquido amniotico (dry tap), l’ostruzione da coagulo ematico (bloody.tap), l’aspirazione di liquido ematico e la ripetizione del prelievo.

Il cosiddetto “membrane tenting” o scollamento delle membrane si verifica quando si determina la separazione della membrana corioamniotica dalla parete anteriore dell’utero durante l’inserimento dell’ago. Questa evenienza è causa di ripetizione del prelievo.

Tale problema si identifica quando si visualizza l’estremità dell’ago all’interno di una tasca ben definita di liquido senza che si ottenga fluido durante l’aspirazione; questa complicanza può essere superata ruotando o ridirezionando l’ago.

L’American Collaborative Study sull’amniocentesi del secondo trimestre ha riportato un incremento della frequenza di aborto spontaneo dopo inserzioni multiple. Il Canadian Trial ha riscontrato la medesima associazione tra ripetizioni del prelievo (più di due) e perdite fetali.

Altri studi che hanno preso in esame tale relazione, non hanno confermato questa evidenza. Tuttavia è consigliato di non eseguire più di due inserimenti di ago per volta, ripetendo l’eventuale terzo prelievo dopo una settimana.

L’insorgenza di contrazioni uterine dolorose dopo il prelievo rappresenta un’evenienza rara, tuttavia risolvibile con la somministrazione di antispastici e l’osservanza del riposo.

Piccole perdite vaginali di fluido amniotico postprocedurali possono manifestarsi transitoriamente nell’1-2% dei casi dei prelievi e vanno incontro a risoluzione spontanea, tuttavia sono riportati casi di persistente perdita di liquido amniotico con marcato oligoamnios.

Una considerazione a parte merita l’isoimmunizzazione materno-fetale nell’ambito del fattore Rh.

Gli eritrociti fetali contengono l’antigene D sulla loro superficie e pertanto sono in grado di sensibilizzare madri Rh negative dopo trasfusione feto-materna con sangue fetale Rh positivo.

La profilassi degli eventi sensibilizzanti in gravidanza e prima del parto, come l’amniocentesi, si attua attraverso la somministrazione di 300 mg di IgG anti-D per via intramuscolare alle madri Rh negative, come raccomandato sia dall’WHO (World Health Organization) che dall’ACOG (American College of Obstetrics and Gynecology).

Analisi

L’analisi citogenetica convenzionale degli amniociti viene attuata mediante il prelievo di 15-20 ml di fluido amniotico, nel corso dell’amniocentesi tradizionale, seguito dall’allestimento delle colture fino all’analisi dei cromosomi in metafase. La parte corpuscolata del liquido amniotico contiene elementi cellulari di derivazione eterogenea e in particolare dalla desquamazione di epidermide, mucosa orale e del tubo digerente, mucosa dell’apparato respiratorio, epiteli delle vie genito-urinarie e membrana amniotica.

Il tempo necessario per avere una risposta con la tecnica citogenetica classica è di circa 12-15 giorni. In circa lo 0,5% dei casi può verificarsi il fallimento della coltura dovuto ad insufficiente o totale mancanza di cellule vitali nel campione prelevato o a contaminazione ematica recente o pregressa del liquido amniotico. In questi casi non si può ottenere un risultato diagnostico se non ripetendo il prelievo diagnostico.

La contaminazione con cellule materne non è cosi’ frequente come per la biopsia dei villi coriali e si verifica con una frequenza dello 0,34%, con una percentuale di errori diagnostici dello 0,11-0,22%.

In presenza di mosaicismo cellulare (0,2-0,7% dei casi) può essere opportuno procedere ad un nuovo prelievo (sangue fetale) per il chiarimento diagnostico.: 21 Giu

La diagnostica di anomalie cromosomiche e mutazioni genetiche è fautrice di stress ed ansia per la gestante e per la famiglia in generale durante il periodo di attesa del risultato.

Pertanto una risposta preliminare rapida che escluda le principali patologie, può contribuire a ridurre l’apprensione materna.

I recenti progressi delle tecniche molecolari come l’uso di sonde cromosomo-specifiche e l’ibridazione in situ hanno determinato un aumento della domanda di risultati rapidi, particolarmente per quanto riguarda l’applicazione delle metodiche rapide sulle cellule non coltivate.

A partire dal 1990 è stato proposto l’utilizzo della FISH (Fluorescence In Situ Hybridization) su amniociti non coltivati, quale metodo aggiuntivo per una diagnosi rapida delle aneuploidie cromosomiche.

Questa tecnica che richiede una piccola quantità di liquido amniotico, si avvale dell’impiego di sonde cromosomo-specifiche consentendo la diagnosi rapida delle aneuploidie a carico dei cromosomi 13, 18, 21, X e Y.

In media i risultati si ottengono entro 48 ore dal prelievo. Sussiste tuttavia lo svantaggio che tale tecnica consente la diagnosi solo delle anomalie cromosomiche per la quale è stata predisposta ed è inoltre richiesta considerevole esperienza laboratoristica.

La FISH, pertanto, rappresenta una valida alternativa al cariotipo classico ma costituisce un test rapido preliminare.

Un approccio alternativo per la diagnosi rapida del cariotipo fetale è rappresentato dalla PCR (polymerase chain reaction) quantitativa fluorescente che mediante la tecnica della reazione polimerasica a catena è in grado di amplificare specifiche regioni della molecola del DNA da amniociti non coltivati. L’esito diagnostico si ottiene entro 48 ore dalla procedura.

L’amnio-PCR, utilizzando una piccola quantità di liquido amniotico, consente la diagnosi delle maggiori cromosomopatie riguardanti i cromosomi 21, 18, 13 e le anomalie dei cromosomi sessuali.

Bibliografia: Monni et al. “Risveglio ostetrico” anno 1 n 1/2